Museo Nicolis Verona, Storia dell'Ansaldo - Dai cannoni al lusso, Ansaldo Tipo 22 del 1930, auto d'epoca, Museo Nicolis Verona

Storia dell’Ansaldo – Dai cannoni al lusso

La nostra Ansaldo Tipo 22 del 1930 protagonista dell’articolo monografico “Storia dell’Ansaldo – Dai cannoni al lusso” degli anni ’90.
Testo di Angelo Tito Anselmi, foto di Alberto Martinez

Storia dell’Ansaldo
Dai cannoni al lusso

L’Ansaldo otto cilindri Tipo 22 è il culmine della gamma di questa marca, ma è anche il suo canto del cigno: un prodotto che Guido Soria — il virtuale fondatore dell’impresa automobilistica Ansaldo — non avrebbe certamente voluto. Ma Soria (com’egli stesso lascia intendere in un documento, recentemente venuto in luce al Museo Biscaretti) era stato costretto alle dimissioni un anno prima che questi insensati investimenti venissero deliberati. Rara e preziosa, l’Ansaldo Tipo 22 resta come uno dei simboli della traumatica fine delle illusioni coltivate da molta parte dell’industria italiana sul declinare degli anni Venti. La S.A. Automobili Ansaldo nasce dello smembramento e dalle esigenze di conversione postbellica di una delle più grandi e più antiche holding dell’industria meccanica italiana. Esistevano dunque tutte le premesse tecniche e le risorse economiche perché l’impresa potesse affermarsi in modo durevole. Viceversa questa, che è ritenuta anche dagli esigenti storici inglesi una delle più illustri marche scomparse, subì un primo tracollo già nel 1922 e fu in piena attività solo per un decennio. Se l’Ansaldo non sopravvisse alla crisi mondiale del 1929, ciò si deve — come per molte altre imprese che ebbero vicende analoghe — a un errore di marketing, all’incapacità di esprimere il prodotto giusto per sopravvivere alla decimazione delle marche italiane. Sulla crisi del 1929 si sono scritte molte banalità. Noi vogliamo sostenere che essa fu (almeno per il settore dell’industria automobilistica italiana) non solo una congiuntura negativa in termini di disponibilità di credito e di volume del fatturato, ma una vera e propria crisi di trasformazione dei procedimenti produttivi, che coincise con la trasformazione del ruolo sociale dell’automobile. Una crisi sostenibile solo con precise scelte di ruolo, appunto, e ricorrendo alla differenziazione del prodotto. Che poi questa crisi organica coincidesse con una depressione economica mondiale è, in una certa misura, casuale. La spiegazione più semplice della scomparsa di molte aziende non può essere che una, in un mercato progressivamente sempre più soffocato dalla difficoltà di esportare e da una certa carenza di materie prime: in Italia non vi era posto che per una Fiat,  un’Alfa Romeo, una Lancia.

Il momento di successo delle automobili Ansaldo si manifestò quando esse potevano proporsi per una collocazione merceologica molto simile a quella delle Lancia: vetture eleganti, sobrie, veloci, piuttosto costose e — per questa somma di caratteristiche — adatte a una clientela selezionata. Scomparvero, se vogliamo proseguire nell’analogia, perché non fu proposto tempestivamente un modello medio davvero nuovo, come l’Augusta e l’Aprilia. Una vicenda del genere non è certo casuale e deve farsi risalire, almeno in parte, a una sorta di disaffezione per l’automobile da parte dei gruppi finanziari che, alternativamente, possedettero il pacchetto azionario dell’impresa: certo privi di quella personalità e di quella passione che diedero carattere all’impresa di Vincenzo Lancia. A correggere questo giudizio parziale, va detto subito che l’impresa delle Automobili Ansaldo si distinse per almeno due caratteri innovativi delle sue comunicazioni visive: il primo, non esclusivo ma rilevante, fu l’uso di schemi di verniciatura bicolore, impiegati sapientemente (staremmo per dire all’americana, nella migliore tradizione della grande carrozzeria americana dei Brewster e dei Le Baron) per slanciare la linea delle vetture. L’altra innovazione dell’Ansaldo fu l’impiego ante litteram di una tecnica di pubbliche relazioni cui altre Case automobilistiche sarebbero giunte non prima di un trentennio. Per prima in Italia l’Ansaldo fece largo uso di redazionali, pubblicando sistematicamente una rubrica dal titolo «Gazzetta Ansaldo» inserita nella rivista «AutoItaliana.» La divulgazione di notizie ai periodici dovette essere accuratissima, se è vero che questi citavano spesso le minori imprese sportive di dilettanti al volante di vetture di questa marca, mentre essa era assente — in realtà — dalle grandi competizioni. Salvo un’eccezione molto rispettabile: la conquista del record del mondo dei sei giorni alla media di 72,461 km/h da parte di una vettura del Tipo 4C impegnata sull’autodromo di Miramas, presso Marsiglia.

Il nome dell’Ansaldo deriva da quello dell’ingegnere Giovanni Ansaldo, nato a Genova nel 1819, docente universitario a 24 anni e fondatore di una popolare scuola di meccanica applicata. Nel 1853, di ritorno in Italia dopo un periodo trascorso in Francia e in Inghilterra per studiare organizzazione industriale, Giovanni Ansaldo fonda la società in accomandita Gio. Ansaldo & C. di cui assume la direzione (il fondatore e direttore morirà nel 1859, all’età di quarant’anni). Già nell’anno successivo l’azienda realizza le prime due locomotive a vapore di costruzione interamente italiana, mentre viene attrezzato uno stabilimento meccanico a Sampierdarena, dove saranno intraprese costruzioni navali. Il controllo dell’impresa era stato assunto dalla famiglia Bombrini e da questa, anni dopo, fu ceduto a un proprio agente, Ferdinando Maria Perrone. Nel 1903 la società in accomandita si trasforma in anonima con l’apporto di una consistente partecipazione della famiglia Perrone. L’anno seguente, allo scopo di introdurre in Italia la produzione di artiglieri, viene stipulato un accordo di partecipazioni incrociate con la Armstrong di Newcastle. Ai fini strategici l’accordo viene rescisso nel 1907 e da quel momento l’Italia può disporre di un’industria autonoma per la produzione di corazzature navali e di artiglierie, senza legami con capitale straniero. La guerra di Libia e la prima guerra mondiale accentuarono questa caratterizzazione del gruppo Ansaldo, provocando un’artificiosa espansione durante il periodo bellico e una conseguente crisi di riconversione non appena cessarono le forniture militari.

Nel 1916 l’Ansaldo aveva rilevato a Torino gli stabilimenti aeronautici della Società Italiana Transaerea, potenziando gli impianti e destinandoli alla costruzione degli aerei S.V.A. (Savoia-Verduzio-Ansaldo) e A-300 e alla revisione dei caccia monoposto «Balilla» e degli Spad degli eserciti interalleati. Mentre a Torino venivano costruite le cellule, i motori aeronautici erano realizzati in uno stabilimento di Sampierdarena a Genova. Ancor prima della fine del conflitto, l’ingegnere Guido Soria, direttore di questo stabilimento, avendo previsto le necessità della riconversione alla produzione civile e ben sapendo che la produzione aeronautica sarebbe praticamente cessata con la fine del conflitto, propose a Pio Perrone, presidente del gruppo, di intraprendere uno studio per la produzione di automobili. Il prototipo della prima vettura Ansaldo Tipo 4 fu approntato sin dall’estate del 1919, mentre le consegne al pubblico iniziarono nel marzo dell’anno seguente. Si trattava di una vettura medio-leggera con caratteristiche piuttosto raffinate, come la distribuzione ad albero a camme in testa, che avrebbero consentito la ricerca di buoni rendimenti volumetrici ed efficienza meccanica. Parte di questo vantaggio iniziale fu perduto, sia per la scarsa ricettività del mercato sia per difficoltà intrinseche del gruppo. Nel settembre del 1920 tutte le attrezzature per la produzione automobilistica, compresa la fonderia e — come si conviene a una grande industria — un reparto meccanizzato di carrozzeria, furono riunite nello stabilimento di Corso Peschiera a Torino, dove nel frattempo era completamente cessata la produzione aeronautica. Il prodotto cominciava appena ad affermarsi quando sull’Italia si abbatté una crisi economica e politica che, limitatamente al nostro Paese, fu certamente più grave di quella mondiale del 1929. Il fallimento della Banca Italiana di Sconto, che era la principale azionista della holding Ansaldo, rese necessaria una serie di smembramenti e di assestamenti societari.

Con l’intervento di un consorzio bancario, fu formata una nuova società Ansaldo, con capitale di 200 milioni di lire, destinata a raggruppare tutte le attività siderurgiche, navali e ferroviarie. La Società Anonima Gio. Ansaldo & C. fu costretta a liquidare le proprie partecipazioni nella Ansaldo San Giorgio, nella S.p.A., nell’ Aeronautica Pomilio e per conseguenza anche in quella Società Ansaldo Automobili di cui deteneva la maggioranza. Il 7 marzo 1923 si costituiva in anonima la S.A. Automobili Ansaldo, con capitale sociale di 25 milioni di lire, la cui maggioranza era apportata da un gruppo di finanzieri varesini rappresentati dal comm. Prestini. Presidente viene nominato l’ingegnere Giuseppe Mazzini e amministratore delegato quell’ingegner Soria cui era dovuta la leadership del progetto automobilistico e l’idea stessa di produrre automobili con il nome Ansaldo. Nello stesso anno viene rimodernato il modello a quattro cilindri, di cui si produce una terza serie quasi invariata, salvo un leggero aumento del passo e un arricchimento delle carrozzerie con il nome di Tipo 4C. L’anno successivo vede finalmente la presentazione di un modello architettonicamente analogo ma con motore a sei cilindri, di due litri. Entrambe le vetture sono affiancate dal tipo spinto (contrassegnato dalla fatidica sigla S: Tipo 4 CS e Tipo 6 AS) che eroga un 10% di potenza in più ed è equipaggiato con accessori di lusso come le ruote a raggi tangenti. Inizia qui una certa stasi nella progettazione: queste vetture di base sono infatti proposte, sostanzialmente invariate, sino al 1930 e ciò non può non provocare un declino della loro richiesta. L’unico modello sostanzialmente nuovo è l’utilitaria Tipo 10 che mescola infelicemente l’architettura raffinata dei motori Ansaldo con un autotelaio semplificato sino al punto da riproporre la balestra trasversale anteriore di fordiana memoria. Preso tra i due fuochi della 509 e della 503 Fiat, il Tipo 10 raccoglie scarso successo e non riesce a creare uno strato di clientela di base, allargata come era nelle intenzioni dei suoi progettisti. Il contemporaneo Tipo 14 non è che l’ennesimo rifacimento della formula del motore a quattro cilindri 70 x 120, proposto sin dal 1919 e ora dotato di accensione a spinterogeno; così come il Tipo 15, che ne è la replica con alesaggio maggiorato a mm 72,5 e potenza portata a 40 CV.

Le potenze cominciano ormai ad essere esigue in rapporto alla dimensione dei motori e lo slogan «imbattibile in salita», di cui la pubblicità Ansaldo si fregia, è piuttosto dovuto all’adozione del cambio a quattro rapporti, finalmente introdotto nel 1928 sui tipi a quattro cilindri. Interessante dunque, ma purtroppo senza seguito, l’esperimento realizzato nel modello 15 GS, dove venne installata una testata a doppio albero a camme che consentiva di portare la potenza erogata da 40.a 60 CV. Visto il crescente declino delle vendite dei tipi a quattro cilindri, concomitante con una crisi di dirigenza e con un riassetto della maggioranza azionaria (che nel 1927 passa al Ruotificio Italiano e all’Aeronautica Macchi di Varese) i programmi per il 1929 vengono indirizzati in direzione delle vetture di alta classe. Nel febbraio e nel marzo 1929 vengono presentate al Salone di Roma una otto cilindri Tipo 22 e, al Salone di Ginevra, una sei cilindri Tipo 18: due vetture assolutamente aggiornate nei livelli di potenza erogata e quindi di prestazioni competitive. Le carrozzerie di serie, messe a punto su prototipi di Farina e Montescani, sono sobrie ed eleganti. Manca tuttavia il mercato, sia domestico sia estero, e ciò provoca un rapido dissanguamento dell’impresa e la crescente vociferazione di un assorbimento da parte della Fiat. Viceversa la Fiat, almeno apparentemente, si disinteressa dell’attività automobilistica languente sotto il marchio Ansaldo (dopo aver acquistato nel 1925 i residui dell’attività aeronautica Ansaldo ed averli trasformati nella Società Aeronautica d’Italia) ed è invece all’O.M. (a sua volta sull’orlo di una crisi che le farà Ceo ’ più tardi perdere l’indipendenza) che si richiede un intervento consultivo e alla quale, almeno secondo certe fonti, si decide di affidare la gestione della società. Si tratta comunque di una gestione a carattere liquidatorio e nel 1932, ancora con il concorso dell’O.M., si procede alla costituzione di una nuova società Costruzione e Vendita Vetture Ansaldo al solo scopo di assemblare e vendere gli autotelai Ansaldo quasi ultimati dalla precedente gestione (pare si trattasse di circa 400 esemplari). Due anni dopo la denominazione sociale viene variata in Ansaldo C.E.V.A. s.a. Le vetture si vendono stentatamente, malgrado qualche aggiornamento alle carrozzerie, la cui costruzione viene appaltata alla Borsani di Milano. Il pubblico non può restare indifferente alla mancanza di un’organizzazione assistenziale capillare e alla mancanza di materiale fresco proveniente da uno stabilimento in attività. Alcuni telai restano invenduti sino al 1936, quando le residue attrezzature e attività della C.E.V.A. vengono cedute alle Officine Viberti di Torino, affermate nel campo dei veicoli industriali.

CHIUSA PER CINQUANT’ANNI DENTRO UN CASTELLO
L’Ispettorato Reale per le Ferrovie, Tramvie e Automobili rilasciò la licenza di circolazione nel 1931. Il fiero proprietario dell’Ansaldo Tipo 22 era il signor Nicola Frugone, domiciliato a Chiavari, uomo ricco e piuttosto conosciuto nella riviera ligure. Ma Nicola Frugone di passeggiate sulle strette strade che costeggiavano il Tigullio ne fece poche: 3000 chilometri e poi dovette partire per gli Stati Uniti. L’Ansaldo fu riposta in garage, con tutte le cautele, in attesa di tempi migliori. Ma Frugone dall’America non tornò più e in quel garage del castello dei Frugone a Chiavari, l’Ansaldo, praticamente nuova, fu scovata da Luciano Nicolis presidente del Veteran Car Club Enrico Bernardi di Verona. L’auto, che ha targa originale Genova, è stata perfettamente restaurata ed ora appare nel nostro servizio fotografico. Ma quali erano le caratteristiche tecniche di questo modello? L’Ansaldo Tipo 22 doveva essere la risposta dell’azienda alla società elegante e raffinata della fine degli anni Venti. Esistevano auto monumentali e poderose ma c’era spazio per un modello agile, sobrio, più basso, che introducesse l’idea di berlina raffinata ma vagamente sportiva. La S. A. Automobili Ansaldo presentò la Tipo 22 al Salone dell’Automobile di Roma del 1929. Molte sono le soluzioni interessanti adottate dai tecnici. Il motore, denominato Sport, è un 8 cilindri in linea di ben 3500 cc, con cilindri verticali fusi in monoblocco, testa riportata, valvole verticali. L’alesaggio è di 75 mm e la corsa di 100 mm. Le peculiarità di questo motore sono la silenziosità di marcia, l’elasticità e la ripresa. La potenza totale di 85 CV permette alla macchina di raggiungere una velocità di oltre 120 km/h a 3500 giri, consumando 18 litri per 100 km. Il carburatore, uno Zenith appositamente costruito per l’Ansaldo, è a doppio corpo e a tubazione distinta per ogni bancata di 4 cilindri, il collettore di scarico ha l’uscita in avanti, vicino al radiatore, dove si raccorda al gruppo di scarico munito di silenziatore. La lubrificazione degli organi meccanici, avviene mediante una pompa situata nella coppa dell’olio, il raffreddamento ad acqua del motore, è assicurato da una pompa a moto centrifugo calettata con la dinamo. La trasmissione è consentita grazie ad un grande albero tubolare con giunti cardanici alle estremità, mentre il ponte posteriore, in lamiera stampata, ha coppia di riduzione Gleason e differenziale a ingranaggi conici. Il cambio a 4 rapporti più retromarcia è in blocco con il motore, mentre la frizione è monodisco a secco. Da notare che la leva del cambio è provvista di serratura di bloccaggio con chiave speciale di sicurezza. Per quanto riguarda la telaistica, gli ingegneri dell’Ansaldo disegnarono un nuovo telaio in lamiera stampata, con ripiegatura dei longheroni immediatamente dietro al motore e con cinque traverse delle quali quattro tubolari, mentre la sospensione è a balestra. Lo sterzo è a vite senza fine e ruota elicoidale. Nella Tipo 22 la guida è a destra. Sul volante, di grandi dimensioni, sono collocati i comandi dello spinterogeno, del carburatore e dell’impianto di illuminazione che comprende luci abbaglianti, anabbaglianti e di posizione. Elegante il design del cruscotto munito di contachilometri, indicatore del livello della benzina, dell’amperometro, del termometro e del manometro dell’olio. Con lo chassis venivano consegnate anche due ruote di scorta gommate.

Didascalie
I comodi interni dell’Ansaldo Tipo 22 e, qui sopra, la pelle originale e perfettamente conservata del sedile di guida. L’oggetto che vediamo in alto è un accendisigaro in dotazione della vettura che porta il marchio con i due cannoni: incrociati: l’azienda originaria, infatti, produceva artiglierie.
La linea sobria dell’Ansaldo Tipo 22. Da notare la scarsa altezza da terra, in un periodo di carrozzerie monumentali. Il motore è l°8 cilindri in linea di 3500 cc capace di 85 cavalli e di 120 km/h.