Shooting, Ruoteclassiche, Delahaye

Shooting, Ruoteclassiche, Delahaye

La prestigiosa Delahaye del Museo Nicolis nello shooting di Ruoteclassiche ambientato nella bellissima cornice di Borghetto, Valeggio sul Mincio a pochi minuti da Villafranca.
Servizio di Fulvio Zucco, Foto di Paolo Carlini.

Ruoteclassiche, ottobre 2012 di Fulvio Zucco, Foto Paolo Carlini – Premiere Dame. Nella Francia che contava era un obbligo uscire con lei e i carrozzieri d’Oltralpe facevano a gara nel vestirla con abiti ridondanti di confort ed eleganza. La nostra, custodita al Museo Nicolis, ha avuto un ruolo nel film “Sanguepazzo”.
Potagonista, la Delahaye “135” lo è sempre stata, e in più settori. In Italia, però, probabilmente è nota solo ai grandi collezionisti e ai veri appassionati, anche perché già ai suoi tempi era molto rara sul nostro territorio. Da noi, chi desiderava una sportiva di alto lignaggio comprava perlopiù Alfa Romeo, oppure, ma si trattava di quantitativi decisamente più bassi, Bugatti o Mercedes. Chi cercava invece lusso e signorilità si rivolgeva alla Lancia o all’Isotta Fraschini, talvolta alla Rolls Royce. In Francia, invece, questa grossa sei cilindri lanciata nel 1935 e rimasta in produzione fino al 1952 era un bestseller fra le auto di categoria superiore. Tanto che nella seconda metà degli anni Trenta era praticamente un obbligo, per i carrozzieri d’Oltralpe, presentare ai Saloni qualche realizzazione su base Delahaye “135”. Ne scaturirono linee mozzafiato come quelle di Figoni et Falaschi o di Saoutchik, di eleganza più composta come quelle di Chapron, di Letourneur et Marchand o di Labourdette, e più convenzionali come quelle di Guilloré e Dubos. Il compito di allestire carrozzerie più o meno sensazionali sulla base della “135” era facilitato dalla particolare conformazione dell’autotelaio, a piattaforma, con due grossi longheroni laterali più il tunnel della trasmissione a conferire rigidità. I longheroni erano costruiti secondo il brevetto “Bloctube”: un lamierato a U chiuso da un “coperchio” saldato elettricamente. Questa tecnica, innovativa per l’epoca, consentiva di risparmiare peso, di ottenere allo stesso tempo una struttura più resistente e, soprattutto, di ribassare in modo consistente l’autotelaio stesso, permettendo linee slanciate difficili da ottenere su telai più convenzionali. Per la Francia che contava, era quasi un obbligo farsi vedere a bordo di una “135”. Nel 1938, con il titolo “L’élite d’une clientele”, la Casa pubblicò, a titolo promozionale e alla faccia della privacy, un nutrito elenco di personalità francesi che avevano acquistato tale vettura. La “135”, benché fosse una macchinona non espressamente nata per fare a sportellate in gara, primeggiò anche nell’impiego sportivo; basti pensare che si classificò prima alla Parigi-Nizza del 1938, al Rally di Montecarlo del 1937 e del 1939 e alla 24 Ore di Le Mans del 1938. Certo, con carrozzerie più leggere e adatte allo scopo e con un’adeguata preparazione del motore (fino a 160 CV), ma la base era pur sempre quella… Probabilmente il successo derivava anche dalla somma di pregi che furono rilevati durante una prova su strada (fatto assai raro per quegli anni) da parte della rivista “La Vie Automobile” nel 1936: il mix di accelerazione, velocità, frenata (pur con tamburi – molto grandi, però – a comando meccanico) e tenuta di strada della “135”, nel caso specifico una “Coupe des Alpes” carrozzata da Labourdette, non aveva rivali fra le più blasonate vetture francesi del tempo, cioè Bugatti, Talbot e Delage. Queste spesso erano sì più veloci o più potenti sulla carta, ma alla prova dei fatti, su strada, non risultavano poi davvero superiori. Altro primato della “135” era l’affidabilità: in Francia si usava dire “solida come una Delahaye”, e a ciò non erano estranee le doti del sei cilindri in linea, concepito in origine per equipaggiare veicoli da trasporto e quindi adeguatamente dimensio – nato per sopportare sforzi prolungati. La “135 M Cabriolet” del nostro servizio aggiunge alla lista dei punti di eccellenza del modello anche quello di essere stata una diva del cinema, avendo “recitato” in “Sanguepazzo” di Marco Tullio Giordana (2008), al fianco di Luca Zingaretti e Monica Bellucci. I due protagonisti impersonano Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, attori degli anni del fascismo passati alla Repubblica di Salò nel 1943 e infine condannati a morte. Valenti era un convinto sostenitore del regime, tanto che, pur comprendendo che stava imboccando una via senza uscita, scelse comunque di seguire Mussolini e la Repubblica Sociale Italiana, rifiutando l’incarico offertogli come Direttore Generale dello Spettacolo, ruolo che gli avrebbe permesso di allontanarsi dall’Italia con la sua compagna. Nonostante ciò Valenti, uomo estroso, era anche capace di scelte che, in tempo di autarchia, non piacevano al duce: la sua passione per le automobili non trovava adeguato sfogo nella produzione nazionale, per lui troppo banale; l’attore desiderava una macchina che lo rendesse immediatamente riconoscibile, qualcosa di assolutamente insolito sulle strade italiane. Per questo scelse una Delahaye, che il regista Giordana ha voluto riproporre per rigore storico. Anche oggi, però, ne esistono ben poche, in Italia, in perfetto stato di funzionamento: una è proprio la “135” del Museo Nicolis, che Luca Zingaretti, prima di girare il film, chiese di poter provare adeguatamente, per acquisire la necessaria padronanza di guida. La grossa cabriolet, Ça va sans dire, in omaggio alla propria fa ma non ha dato il minimo problema.

Elegante, sportiva e affidabile, fu una pietra miliare nella produzione della Casa francese. Le sue doti non bastarono però a salvare l’azienda, che cessò la produzione nel 1954
Fuoriserie di serie. La cabriolet di Chapron era un modello regolarmente a listino della Casa; lo stesso carrozziere allestiva per la Delahaye pure la “Coach Luxe” chiusa a quattro posti, mentre la “Coach” con equipaggiamento di base veniva approntata da Guilloré .
Si cambia col joystick. La minuscola leva del cambio elettromagnetico Cotal, a sinistra del piantone; sulla destra, invece, le leve del commutatore luci (“Code”) e del clacson (“Avert.”).
Niente estrosità. La plancia è semplice e ordinata, con i due grossi quadranti di contagiri e tachimetro al centro. Sul coperchio del cassettino di fronte al passeggero è montato l’orologio. I due strumenti sotto il cruscotto sono stati aggiunti per sicurezza.
Eleganza francese. I sedili sono rivestiti in pelle blu e quelli anteriori sono regolabili singolarmente. Sobria la verniciatura in due toni di grigio con capote e interni blu. I grandi compassi cromati per l’articolazione del mantice sono tipici degli anni Trenta.
Accenni di modernità. Le porte sono incernierate posteriormente. La carrozzeria incorpora già i fari nei parafanghi, ma le proporzioni sono ancora quelle in uso negli anni Trenta. Laura Adami, la modella ritratta nelle foto, indossa abiti contemporanei alla vettura appartenenti alla collezione del Museo Nicolis. Nella foto. La “135 M” affronta con decisione le curve, forte di una tenuta all’epoca proverbiale.