Shooting, Ruoteclassiche
La sofisticata OM Superba del Museo Nicolis nello shooting di Ruoteclassiche ambientato, nella raffinata cornice di Borghetto, Valeggio sul Mincio, a pochi minuti da Villafranca.Servizio di Fulvio Zucco, Foto di Paolo Carlini.
Ruoteclassiche settembre 2013– La Rivale. In versione corsa, stravinse la prima Mille Miglia. All’epoca, era lei la sportiva per antonomasia, non la “6C”. Finché la Casa bresciana non decise di abbandonare il settore, lasciando campo libero all’Alfa Romeo.
Eccola, con un’elegante carrozzeria spider, motore “2200”, compressore e 85 CV. Numerose le vittorie della Casa bresciana negli anni Venti e Trenta: la più prestigiosa alla prima Mille Miglia, nel 1927, con tre vetture ai primi tre posti.
Alzi la mano chi sa che cosa produceva la OM di Brescia. Dite veicoli industriali, camion e autobus? Bravi. Altri aggiungeranno che erano del tutto analoghi, negli ultimi tempi, ai prodotti di casa Fiat. Bravissimi. Però molti anni fa, diciamo 80 o 90, la risposta corretta sarebbe stata diversa: “macchine da corsa”. Già nel 1923, infatti, una “Superba” fresca di debutto (il modello era stato presentato quello stesso anno) si impone nella Coppa delle Ali, pilotata da Ferdinando Minoia; sarà sempre lui, quattro anni dopo, a portare al traguardo la “665” vincitrice della prima Mille Miglia, trionfo che aprirà la via all’esportazione delle vetture bresciane in tutto il mondo. La sigla “665” sta per 6 cilindri e 65 mm di alesaggio, ma rimarrà invariata, sorta di operazione di marketing ante litteram, anche quando quest’ultimo valore salirà a 67 mm, perché ormai la “665” si è guadagnata un’ottima reputazione. Conseguenza delle vittorie in gara è anche la richiesta, da parte di clienti benestanti e con ambizioni sportive, di fuoriserie allestite sulla prestigiosa meccanica da parte dei più noti carrozzieri. È il caso della spider realizzata dalla milanese Castagna nel 1931 che appare in queste pagine. Di linee svelte e filanti, mostra come tocchi di originalità il particolare andamento dei parafanghi, che si interrompono prima della pedana per proseguire poi fino alla coda, e il taglio discendente dei vetri laterali dal parabrezza (ribaltabile) fino al mantice della capote. Tutto l’insieme ricorda per più di un verso le Alfa Romeo “6C 1750 GS” che in quegli anni imperversano sui circuiti di mezzo mondo e che sono le più temibili avversarie della OM “Superba”. La vettura è destinata al mercato britannico, dove l’importatore della Casa, Mr. Rawlence, offre anche un kit di elaborazione per passare dalla distribuzione a valvole laterali a quella con valvole in testa. Monta il compressore Roots, che porta la potenza del sei cilindri in linea di 2200 cm³ a 85 cavalli. Dopo la guerra torna in Italia, come documentato dalla targa Verona 19133, risalente al 1946, e oggi fa bella mostra di sé al Museo Nicolis di Villafranca (VR). È stata restaurata a nuovo dal noto specialista Cognolato e da un paio d’anni accoglie i visitatori all’ingresso dell’esposizione. L’abitacolo è un riuscito mix di sportività e raffinatezza, con due comodi sedili rivestiti in pelle e un elegante cruscotto in alluminio lavorato a rosette. Questa versione della “665”, dotta del motore maggiorato rispetto al 1991 cm³ del debutto (qui i centimetri cubi sono 2200 tondi) e del compressore, ha un suono pieno e grintoso, che diventa più rauco e aggressivo quando il volumetrico Roots soffia forte nei cilindri; anche sotto questo aspetto ricorda abbastanza da vicino le “nemiche” Alfa “6C 1750” compresse. Tanto che, mentre effettuiamo i passaggi per le riprese fotografiche, dal gruppetto di curiosi che si è formato qualcuno azzarda: “È un Alfa Romeo come quella di Nuvolari: con una macchina così vinse perfino la Mille Miglia…”. Strano intreccio di storie, quello della sportiva bresciana e della più celebre vettura milanese. Simili per molti versi, contemporanee ed en trambe rivolte allo stesso pubblico, oggi la prima è nota solo ai veri intenditori, mentre la seconda è un’icona della Casa del Portello e anche per l’uomo della strada è “la macchina di Nuvolari”… Nel 1933 la OM (Officine Meccaniche) viene acquisita dalla Fiat, che decide la sospensione della produzione automobilistica a favore di quella di veicoli industriali, autocarri e autobus, già iniziata nel 1925 con alcuni modelli realizzati sulla base dei telai destinati alle automobili. Dopo la seconda guerra mondiale i modelli OM riscuotono un grande successo, che perdura fino alla fine degli anni 60: cavallo di battaglia la serie contraddistinta da nomi di animali (“Lupetto”, “Ti – grotto”, “Leoncino”…). Poi, nel 1970, i camion bresciani divengono cloni dei modelli Fiat, pur conservando il marchio dell’ovale blu. Nel 1975 nasce l’Iveco, che integra le produzioni dei vari marchi del gruppo Fiat e spinge un po’ alla volta la OM fra i ricordi del passato. E pensare che persino il “Vate d’Italia”, Gabriele D’Annunzio, la cui passione per le automobili è risaputa, fra l’Alfa e la OM aveva scelto la seconda: modello “467 Sport”, carrozzeria aperta, allestita secondo le sue richieste.
Prima del turbo. Il sei cilindri in linea di 2,2 litri dal lato dello scarico. Davanti al motore si scorge il compressore a lobi Roots, che porta la potenza a 85 cavalli.
Ci vuole equilibrio. La modella Elisa Marangon, in abiti rigorosamente anni 30 della collezione Nicolis, mostra le manovre necessarie per accedere al divanetto, operazione riservata a persone agili. In basso. Le due piccole pedane zigrinate cui appoggiarsi.
Nata a Milano Lo stemma della carrozzeria Castagna ritrae una carrozza, originaria specializzazione dell’atelier; la placca con i numeri di brevetto dei freni Perrot; gli ammortizzatori a frizione Hartford con le tacche per la regolazione. A destra. La grigliatura verticale caratterizza i lati del cofano, la zona del parafiamma e i sottoporta della vettura.
C’è quel che serve. Buona la dotazione di strumenti: da sinistra, orologio, livello benzina, blocchetto per l’avviamento, manometro olio e tachimetro. In alto. Radiatore e fari montano griglie parasassi. Il marchio OM ovale a fondo blu venne introdotto nel 1918.
La cura del dettaglio. Il lussuoso pannello della porta, dotato di un’ampia tasca in pelle, è impreziosito da uno spesso profilo in legno.