Shooting, Ruoteclassiche, Fiat 600D Viotti
La nostra Fiat “600 D coupé” Viotti del 1965, protagonista del redazionale di Ruoteclassiche.
Un approfondimento storico sulla vettura, con numerosi aneddoti.
Ritorno allo Stato Laico, di Maurizio Schifano, foto di Alfredo Albertini
Era al servizio di un convento di suore: fatto inconsueto per una fuoriserie dalle forme esuberanti, sebbene sfiorite da tempo. Per liberarla dal velo… di ruggine, un collezionista non ha badato a spese. Tetto apribile, abitabilità buona, ma niente spazio per i bagagli.
L’ultima proprietaria era stata una religiosa, suor Antonietta, da Desenzano (Brescia). Il libretto ci dice che ne divenne proprietaria nel 1987, Probabilmente non fu nemmeno un acquisto ma la donazione a un convento, in cambio forse di qualche preghiera. L’auto, una Fiat “750 Granluce” Viotti (sviluppo stilistico del modello “600” presentato dal carrozziere torinese al Salone di Torino del 1956) concluse così la sua carriera: prendendo i voti, al servizio di una religiosa che le garantì ancora qualche anno di vita. Quando poi esaurì anche le sue ultime energie, finì da uno sfasciacarrozze, dove la trovò Luciano Nicolis, uno dei più qualificati collezionisti d’Italia (la sua ricca collezione è ora raccolta nell’omonimo museo di Villafranca). Quell’auto, piccola ma ricercata nelle linee, gli piacque subito. Non era proprio un “pezzo” pregiato meritevole di un restauro radicale, come il suo stato richiedeva, tuttavia Nicolis se ne incapricciò, comprò la vettura e ne iniziò il recupero. Apparentemente non le mancava niente, né le parti “vitali” né quelle ornamentali e le targhe originali erano al loro posto. Lo sfasciacarrozze gli disse che aveva ritirato la vettura, come “rottame”, da un convento di suore nei pressi di Brescia. Il libretto di circolazione intestato a suor Antonietta (preceduta tuttavia da una lunga fila di altri proprietari, tutti bresciani) confermava il suo racconto. Non era chiaro invece l’anno di prima costruzione che il documento non indicava perché riportava in modo visibile solo le prime tre cifre, 196… La quarta era scomparsa.
VERSIONE 1961 Il modello “750 Granluce” fu presentato al Salone di Torino del 1961. Si trattò di un restyling della versione 1956 già realizzata su meccanica Fiat “600″.
QUASI UNA BERLINA Con un padiglione ampio e squadrato, questa vettura può definirsi più una berlina che una coupé. L’abitabilità è di poco superiore a quella della “600 D” di serie. I deflettori laterali sono fissi.
VITTORINO VIOTTI Fu l’inventore delle “giardinette” italiane
La “750 Granluce” è una delle ultime fuoriserie realizzate da Vittorino Viotti che negli ultimi anni di attività si era prevalentemente dedicato alla costruzione di “giardinette” (nome da lui brevettato nel 1946). Nel 1961, al Salone di Torino, il suo pezzo forte fu infatti una Fiat ‘1300 Giardinetta”, ma oramai senza le caratteristiche parti in legno. L’auto ottenne anche un buon successo di vendite. Nello stand si trovavano anche due versioni speciali della “600 D” (da poco giunta sul mercato): una coupé dalle linee squadrate e dal design decisamente moderno, nonché l’ultima versione di un suo vecchio cavallo di battaglia, una ‘“600″ quattro posti, molto luminosa ed elegante. Sull’ autotelaio “600” aveva iniziato a lavorare nel 1955. Quell’anno, a Torino, presentò cinque coloratissimi coupé dai nomi estrosi come “Diavolina”, “Capri” “Nastro Azzurro”… L’anno dopo a questa serie sportiva aggiunse una nuova versione, la “Granluce”, con parabrezza avvolgente, che poi andò man mano ristilizzando fino a concluderne il percorso con l’esemplare che vediamo nella foto, uguale a quello del nostro servizio. Nonostante il gradevole disegno denunciasse già allora i suoi anni, garantì al carrozziere torinese ancora qualche anno di lavoro. Nel 1964 Viotti infatti chiuse il suo atelier dopo 43 anni di attività (la ditta era stata fondata nel 1921 e ricostruita nel dopoguerra). La sua opera è ricca di realizzazioni di grande spessore stilistico su autotelai Lancia “Astura” e “Augusta”, Alfa Romeo, Maserati… Successivamente egli collaborò anche con la Bristol, la Daf, la Volkswagen e la Volvo. Qualcuno vi aveva aggiunto, ma successivamente, con diversa penna e altra calligrafia, un 6 che tuttavia non è credibile: la carrozzeria Viotti aveva infatti cessato la sua attività nel 1964. In mancanza di certezze non possiamo perciò che datare la vettura 1961, anno in cui la “750 Granluce” (con la nuova meccanica Fiat “600 D”), fu presentata a Torino. A Nicolis tuttavia il “pezzo” interessava comunque, anche per quella sua particolare provenienza: una provocante fuoriserie vissuta in convento, bisogna ammetterlo, è Una vera rarità! “Per il momento, pensò, la terrò in cantina e magari nel frattempo riuscirò a ricostruire anche la storia…” In realtà è stato più facile restaurarla che ritrovare il suo passato. Se la storia completa della vettura è rimasta perciò un mistero (di suor Antonietta si sono perse le tracce), quella del Modello a cui il nostro esemplare appartiene è risultata sicuramente molto interessante. Conoscerne il passato è dopotutto fondamentale per eseguire un buon restauro. Prima di avviare qualsiasi intervento, Un bravo collezionista deve infatti prepararsi con Cura informandosi su tutto. “Affidarsi semplicemente a un meccanico o a un carrozziere e pretendere che facciano tutto da soli”, ci conferma Luciano Nicolis, è un errore di fondo. Serve invece inquadrare il Periodo storico, conoscere lo stile del carrozziere, le tecniche del tempo e perfino la moda che favorì la linea del modello. Per fortuna questa macchina era completa, ma so solo io quante parti ho dovuto far ricostruire, perché troppo invecchiate o corrose”. Procedure di restauro così complicate vengono di solito riservate a vetture di ben altro valore, Nicolis invece le ha applicate anche a questa piccola berlinetta e ce lo dimostra facendoci vedere un grosso album di fotografie che documentano tutte le fasi del restauro, che è dovuto partire addirittura dalla ricostruzione del fondo della scocca per dare solidità all’opera. Ma il risultato è ripagante. Osservando questa vettura da vicino lascia incantati la cura maniacale con la quale è stata verniciata e assemblata, probabilmente anche meglio di quando ciò venne fatto nello stabilimento della Viotti. Perfetta la chiusura delle portiere e dei cofani, perfetto anche l’allineamento dei fregi che ornano le fiancate, preciso l’assemblaggio del tettuccio apribile in tela. Eccellente infine la cromatura dei Numerosi particolari che rendevano molto lussuoso questo modello che ebbe lunga vita, diverse versioni e anche un discreto successo di Vendite. E che in più ha il merito di rappresentare lo straordinario successo riscosso dalla Fiat “600” Presso la carrozzeria italiana che, su questo Piccolo autotelaio, si esercitò come su nessun altro, dando vita a una infinità di modelli stilistici. Questa vettura in particolare ci dimostra il diffuso tentativo di trasformare una modesta utilitaria, come era la “600”, in una fuoriserie con evidenti Pretese di grandezza e di eleganza. Un effetto Spesso soltanto ottico: la nostra “Granluce” per esempio è solo mezzo centimetro più lunga e più alta della vettura di serie. Reale è invece la ricchezza degli accessori che ha in dotazione. Non mancano tuttavia soluzioni stilistiche di pregio come il disegno del cruscotto e la luminosità degli interni ottenuta grazie alle ampie superfici vetrate e ai rivestimenti chiari. Una ricercatezza in più è sicuramente il tettuccio apribile in tela, di grandi dimensioni. Durante la prova su strada emerge subito l’origine di questa vettura: i comandi e il comportamento sono quelli della “600 D”, Però la tonalità di scarico, ben presente nonostante una migliore insonorizzazione dell’abitacolo, è più cupa e piena: il motore non è elaborato, ma il terminale di scarico è bitubo. Il tettuccio in tela sembra avere un’ottima tenuta all’aria, poiché non si sentono spifferi. Mentre procediamo senza forzare l’andatura, apprezziamo il lusso e la comodità di questa bella “macchinetta”, abbinati all’invidiabile elasticità dell’ottimo quattro cilindri Fiat.
FACILE DA APRIRE Il meccanismo di apertura del tettuccio in tela è elementare ma ben realizzato. È stato perfettamente ripristinato in sede di restauro. Nell’altra pagina, in evidenza sul cofano motore le aperture per favorire la fuoruscita dell’aria calda. I fanalini sono uguali a quelli montati sulle Alfa Romeo “Giulietta”.
La verniciatura bicolore la faceva diventare una piccola granturismo
Il restauro è stato costosissimo, degno di una “regina”
PIÙ BELLA CHE PRATICA Il vano anteriore serve a contenere il serbatoio del carburante e la ruota di scorta. In pratica non rimane spazio per eventuali bagagli, che possono essere sistemati solo sul divanetto posteriore.
ECONOMIA MODERNA Il cruscotto, molto gradevole, si avvale della strumentazione e dei comandi della berlina di serie. Nei canoni degli anni 60 il volante nero, mai montato sulla berlina. Il taglio dei finestrini e dei rivestimenti laterali: contrasta con la forma assai semplificata dei sedili di serie, qui rivestiti con vinilpelle color panna.